Anni fa vidi un filmato che cambiò la mia visione del mondo e confermò alcune miei idee sulla sostenibilità della nostra società. Qualche giorno fa, sono tornato su quel sito e ho riguardato quel filmato, che ora voglio divulgare il più possibile. Ho trovato una versione tradotta in italiano, che riporto di seguito (il sito ufficiale del progetto è www.storyofstuff.com).
Dal filmato emerge una visione inquietante della nostra società, che – anche senza la necessità di dover controllare minuziosamente dati statistici o analisi scientifiche – può essere facilmente confermata da qualsiasi persona, avendo molteplici riscontri nella vita quotidiana o nelle esperienze vissute.
La prima cosa che emerge dal filmato e di cui dobbiamo prendere atto è che stiamo esaurendo le risorse naturali, perché usiamo troppe cose. Negli ultimi tre decenni, abbiamo consumato un terzo delle risorse naturali del pianeta. Come hanno fatto i grossi stati a consumare così tanto? Semplice: hanno consumato le risorse che spettavano ad altri, ossia hanno sfruttato il Terzo Mondo fregandosene delle persone che vivono lì. Esse, infatti, non hanno niente e, in questa società, se non possiedi niente e non puoi comprare niente, non hai valore.
Bancomat – Marco Paolini (3:12)
Tutta la nostra società funziona grazie ai consumi, allo spreco e allo sfruttamento. L’andamento dell’economia indica la direzione da seguire, perciò la società è in balia di coloro che muovono maggiormente l’economia, ossia le aziende, il cui obiettivo annuale è quello di aumentare gli utili rispetto all’anno precedente. Se tutte quante le aziende devono diventare ogni anno più ricche (per soddisfare gli azionisti), com’è possibile che questo modello di società sia sostenibile?! Porsi come obiettivo un costante accumulo di ricchezza è perverso ed è palese che non possa funzionare, in quanto un aumento di ricchezza da una parte, implica necessariamente un aumento di povertà dall’altra. E’ ovvio quindi che la logica capitalista e consumista che ha guidato il mondo fino ai giorni nostri non può funzionare ancora a lungo. Ciò che sta succedendo in questi ultimi anni (bond argentini, Cirio, Parmalat, Lehman Brothers, il fallimento di alcuni paesi) e in questi ultimi giorni (crisi dei mercati azionari) lo testimonia.
Una società attenta principalmente al bene delle aziende è una società disposta a sacrificare le persone e il pianeta. Un passo fatto ultimamente in questa direzione in Italia è il contratto che è stato approvato in alcuni stabilimenti FIAT poco tempo fa, col quale i dipendenti sono stati costretti ad accettare condizioni lavorative peggiori, perché gli utili dell’azienda sono stati giudicati insufficienti. Questo contratto segna, secondo me, una svolta storica e indirizza il mondo verso scenari decisamente inquietanti per le persone: si insegue il modello lavorativo cinese (disumano), in cui la qualità della vita dei lavoratori è sacrificabile in favore della crescita economica, del profitto.
La stessa cosa avviene nel Terzo Mondo, dove le nazioni più forti consentono alle multinazionali di sfruttare persone e territori. E’ per questo che gli aiuti umanitari che vengono pubblicizzati in favore del Terzo Mondo sono solamente dei palliativi per nascondere il vero interesse, che è quello di mantenere il Terzo Mondo esattamente nelle condizioni in cui si trova per evitare che progresso e profitti vengano frenati.
Insomma, questo modello non è sostenibile, non funziona. Occorre riscoprire una dimensione più umana. Le persone e la qualità della vita devono tornare al centro degli interessi di tutto il mondo.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones, né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
(Robert Kennedy)
E cosa possiamo fare, noi, in concreto, per spezzare questa catena fallimentare e distruttiva? Si può incominciare dalle piccole cose; ad esempio, smettere di partecipare con dedizione alla “freccia d’oro” protagonista della seconda metà del filmato col quale ho aperto questo articolo.
Tutti noi abbiamo fatto esperienza della cosiddetta “obsolescenza pianificata“: a tanti sarà successo in passato di sentirsi costretti a comprare, ad esempio, un telefono cellulare nuovo perché la batteria non durava più a sufficienza, ma tali tipi di batterie non potevano più essere trovati facilmente nei negozi. Ai giorni nostri, però, questa condizione si verifica sempre meno, in quanto la anticipiamo inconsapevolmente dalla convinzione della cosiddetta “obsolescenza percepita“. Ogni anno ai telefoni cellulari aggiungono una nuova caratteristica assolutamente inutile ma che – con un po’ di pubblicità adeguata – è sufficiente a instaurare nella gente il desiderio di averla, perché altrimenti se preferisci possedere ancora una versione obsoleta potrai essere immediatamente identificabile dagli altri. Prima ci hanno provato con gli MMS, poi con la fotocamera, poi i MegaPixel della fotocamera, poi col touch-screen, ora con i sistemi operativi e le loro applicazioni (meglio se hanno un nome accattivante, come “Apps”). A questo riguardo, Apple sta diventando una regina incontrastata, grazie all’iPhone prima (la prima versione aveva addirittura meno funzioni di un altro cellulare!) o dell’iPad adesso (utile solamente in rarissimi casi). La società si adopera affinché percepiamo queste novità come indispensabili e noi nella maggior parte delle volte ci lasciamo convincere e corriamo a spendere sempre più soldi per avere un oggetto inutile che però ci consente di fare bella figura con gli altri affermando che siamo rimasti al passo con i tempi.
Per uscire da questa logica, bisogna sforzarsi per cercare di evitare di provare il desiderio di possedere le ultime novità; bisogna, in un qualche modo, “elevarsi” dalla bassezza di certe logiche di mercato. Capisco anche io che l’iPad è figo, ma provate a fermarvi un attimo a pensare: “A cosa cavolo mi serve? Cosa me ne faccio? Mi sarà utile davvero oppure passata la moda non lo userò più?”. Se prima di acquistare qualcosa mi pongo queste domande, spesso mi trovo a desistere per poi ringraziarmi per aver evitato di spendere soldi inutilmente e non aver alimentato la logica assurda che guida la nostra società.