Citazioni, Libri, Riflessioni

Le formiche e la luna: la realtà è più grande di quella che vediamo

– Be’, ero venuta a chiedere a mio nipote perché… capisce, Duca? Perché lo ha fatto! Nessuno riesce a spiegarselo, ma io so che una ragione c’è. Fil non è un ragazzo dissennato. Se fa una cosa, sa benissimo perché la fa. Quel perché, Duca, sono sicura che a me lo avrebbe detto…
– Detto che cosa, Giuliana cara?
– Ma… delle pecore! Del college!
– Quale college, Giuliana?
Nemmeno il Duca sapeva di Filippo, del suo gesto… A Giuliana parve inverosimile, ma era così. Allora gli raccontò quel che di Fil le aveva raccontato Jeremy, il patto segreto tra i due ragazzi, le vite scambiate…
Il Duca si disse molto dispiaciuto, ma da parte sua non sapeva come aiutarla, dal momento che Fil, partendo, non gli aveva detto dove andava e a lui era sembrato indelicato chiederglielo. Disse anche che mai avrebbe immaginato una cosa simile, ma che qualcosa non gli tornava: Filippo non era certo un ragazzo sleale o menzognero, dunque voleva solo dire che c’era una parte di lui che rimaneva sconosciuta a loro, fine, niente di grave.
– Perché in genere è così. La realtà presenta lati oscuri, – disse, – ma non vuol dire che siano oscuri in sé, vuol dire che noi non siamo così bravi da vederli. Non abbiamo gli occhi buoni, non le pare? Un po’ come la luna quando ne vediamo la metà, non vuol certo dire che lei s’è dimezzata. Ah, Giuliana, mi dispiace vederla così in ansia. Non sa quanto… Se potessi aiutarla… Potessi rintracciare Filippo e chiedergli di tornare… Ma come le ho detto, non so dove sia andato… Però la prego… Mi si stringe il cuore…
E qui a Giuliana, sinceramente colpita dalle parole del Duca, venne da pensare alle formiche. Ah, l’incomparabile insondabilità delle nostre analogie mentali! Era stato un suo amico di gioventù (non lo vedeva da una vita), che una sera in riva a un torrente, mentre affettuosamente le teneva un braccio intorno alla vita, le aveva detto: «Lo sai che le formiche non vedono noi due seduti qui? Non colgono neanche un milionesimo della realtà che le circonda, troppo grande per loro. Vedono i pochi centimetri che hanno davanti e pensano che il mondo sia tutto lì… Ebbene noi siamo uguali a loro, ci pensi mai? Vediamo così poco… Sappiamo così niente…»

“Non so niente di te”, Paola Mastrocola

il-boa-cappello
Il mio disegno non era il disegno di un cappello.
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.
(“Il piccolo principe”, Antoine de Saint-Exupéry)
Citazioni

Il valore nascosto

James Abbott McNeill Whistler (1834-1903) […] era famoso per le sue maniere provocatorie e la sua abilità in quella che egli chiamava la «nobile arte di farsi dei nemici». Stabilitosi a Londra, si sentì in dovere di partecipare alla battaglia per l’arte moderna praticamente da solo.

"Nocturne: Blue and Gold - Old Battersea Bridge", James Abbott McNeill Whistler
“Nocturne: Blue and Gold – Old Battersea Bridge”, James Abbott McNeill Whistler

L’abitudine di dare ai quadri titoli ritenuti eccentrici e la noncuranza delle convenzioni accademiche gli inimicarono John Ruskin (1819-1900), il grande critico che aveva difeso Turner e i preraffaelliti.

Nel 1877 espose certe visioni notturne alla maniera giapponese, stabilendone il prezzo a duecento ghinee l’una, a cui diede il nome di Notturni. Ruskin scrisse: «Non mi sarei mai aspettato che un buffone chiedesse duecento ghinee per gettare un vaso di colori in faccia al pubblico». Whistler lo citò per diffamazione e il processo ribadì la profonda frattura che separava il punto di vista dell’artista da quello del pubblico. Si parlò subito della questione della «rifinitura». A Whistler fu domandato, durante il controinterrogatorio, se veramente aveva chiesto quella somma enorme «per il lavoro di due giorni»; egli replicò: «No, la chiedo per la conoscenza acquistata nel corso di un’intera vita».

“La storia dell’arte”, E. H. Gombrich

Personale, Riflessioni

Dentro o fuori dalla caverna?

Qualche giorno fa ho letto un pensiero su cui spesso mi sono trovato a riflettere.

Il danno più grande che possiamo fare a noi stessi è ingannarci, raccontarci una realtà artefatta che ci faccia stare bene, ci tolga l’ansia, ci rassicuri. […] Magari così troviamo un po’ di pace per qualche ora o anche per un tempo più lungo. Oppure riusciamo a vivere in modo “decente”.
Ma è questo il nostro destino? Vivere una vita finta o mutilata?

Il tutto potrebbe essere riassunto dal dilemma: è meglio “sapere” per poi vivere una vita infelice ma vera (consapevole), oppure non “sapere” – o, peggio ancora, “ignorare” – continuando a vivere una vita felice ma falsa, in quanto basata su convinzioni sbagliate?

Guardandomi attorno e analizzando le mie passate esperienze, sono arrivato a convincermi del fatto che la gente (forse non tutta, in quanto temo sia una caratteristica soprattutto italiana) spesso preferisca rimanere nella situazione in cui si trova, minimizzando i problemi e cercando delle giustificazioni. Quante volte notiamo qualche piccola imperfezione che insinua un dubbio in noi, ma che preferiamo ricacciare indietro, piuttosto di indagarne il motivo? Quante volte tendiamo a lamentarci dei problemi senza mai porre in atto delle azioni concrete per contrastarli?

Temo che il motivo principale di questo atteggiamento sia la pigrizia. Ed è molto triste sapere che non si cerca di risolvere un problema, anche se è risolvibile, perché manca la voglia, l’impegno.

Indubbiamente richiede meno sforzo l’accettare una situazione così com’è, rispetto al fare qualcosa per porvi rimedio. Forse dietro al “dover fare qualcosa” c’è la paura di ciò che accadrà dopo averlo fatto, la paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce. Probabilmente noi uomini (italiani?) siamo pessimisti di natura (forse anche a causa delle difficoltà che la società ci costringe ad affrontare), e per questo siamo portati a pensare che se dovesse cambiare qualcosa, sicuramente porterebbe ad una situazione peggiore.

La conseguenza di un tale modo di pensare è che per poter avviare un processo di cambiamento è necessario avere un motivo più che valido, che ci assicuri il raggiungimento di una posizione migliore di quella attuale. Alle persone “fortunate” capita di incontrare questo motivo che le spinge a decidere di cambiare, ma la maggior parte delle persone non lo incontrerà mai o, anche se lo incontra, la paura del cambiamento le fa decidere che sia meglio rinunciare a quell’opportunità e lasciare le cose come stanno… Questo secondo tipo di persone è quello che accetta di vivere una vita “di serie B”, una vita che è piovuta loro addosso: hanno giocato un ruolo passivo, subendo le decisioni altrui, fino a rinunciare deliberatamente alla verità, nascondendo ogni dubbio per potersi così ritenere felici. I pochi altri, invece, hanno preso in mano la situazione e deciso di vivere da protagonisti, nel bene o nel male;  artefici del proprio destino; non hanno avuto paura di accettare la verità, rincorrendola con determinazione, pur consapevoli del rischio di rimanere delusi o infelici.

In passato, tanti si sono occupati di questo argomento (che è estremamente generico e potrebbe essere applicato a tutto, dalla fede religiosa ai rapporti sentimentali, e così via…), tra i quali anche il filosofo Platone col bellissimo ed efficacissimo mito della caverna.

Io sono sempre stato dalla parte della verità “a tutti i costi”, perché ritengo che la sincerità e la conoscenza siano le cose più importanti da perseguire. Però non sono mai riuscito ad accettare fino in fondo l’infelicità che queste due cose spesso si portano appresso.

Per la prima volta da quando curo questo blog, invito voi lettori a lasciare un vostro parere in merito, in quanto non sono ancora riuscito a convincermi su cosa sia meglio e mi piacerebbe dunque sapere cosa ne pensate. Preferite rimanere chiusi nella caverna, nel mondo artificioso che avete imparato ad apprezzare, o ritenete valga la pena uscire fuori per scoprire com’è fatto il mondo vero, essendo disposti ad accettare anche una realtà che potrebbe non piacervi o piacervi meno della caverna?