L’altra sera, mentre mi spostavo in auto per un lungo tragitto, ho riascoltato il “bootleg” del concerto di Bob Dylan del 1964 al Philharmonic Hall. Arrivato alla canzone “Who killed Davey Moore?“, il discorso introduttivo di Dylan mi ha colpito particolarmente e, forse per la pungente ironia o forse per chissà quale altra ignota connessione sinaptica, mi ha ricordato il discorso di De Gregori inciso nell’album “Catcher in the sky“, che riporto qui:
La prossima è una canzone costruita in modo abbastanza particolare. E’ fatta tutta con dei verbi messi al modo infinito e tutti questi verbi hanno anche l’ultima sillaba accentata, quindi sono parole tronche. […] Allora tutte queste parole, tutti questi verbi all’infinito sono anche tronchi: sono infiniti tronchi. Io volevo chiamare questa canzone, proprio per chiarezza, “Infiniti tronchi“. Poi però ho pensato che qualche critico musicale l’avrebbe scambiata per una canzone su una foresta sterminata. E allora, con un colpo di genio, l’ho chiamata “Sotto le stelle del Messico a trapanar“.
L’ironico discorso di Dylan invece è questo:
This a song about a boxer… It’s got nothing to do with boxing, it’s just a song about a boxer really.
And, uh, it’s not even having to do with a boxer, really. It’s got nothing to do with nothing.
But I fit all these words together… that’s all…
It’s taken directly from the newspapers. Nothing’s been changed… except for the words.
che tradotto significa:
Questa è una canzone su un pugile… Non ha niente a che fare con la boxe, è davvero semplicemente una canzone su un pugile.
E, uh, non ha nemmeno niente a che fare con un pugile, in effetti. Non ha niente a che fare con niente.
Ma ho unito tutte queste parole insieme… questo è tutto…
E’ presa direttamente dai giornali. Niente è stato cambiato… eccetto le parole.
Subito dopo questa introduzione, ho ascoltato con molta attenzione la canzone di Dylan, mentre nella mia mente si formulava il collegamento con De Gregori di cui vi ho già parlato.
La canzone di Dylan gira attorno al ritornello: “Chi ha ucciso Davey Moore? Perché e per quale motivo?“. Nelle strofe è come se Dylan andasse ad intervistare, uno per uno, tutti coloro che erano presenti all’incontro di boxe che ha poi provocato la morte del pugile. Ognuno di essi non fa altro che cercare in tutti i modi di discolparsi e convincerci che lui non abbia alcuna minima responsabilità sull’accaduto.
Alla fine, né l’arbitro, né la folla, né il manager, né gli scommettitori, né i giornalisti si dicono coinvolti. Tutti terminano dicendo: “Non sono stato io a farlo cadere; non potete di certo incolpare me!“. La canzone si conclude con l’affermazione dell’avversario: “E’ stato il destino; è stata la volontà di Dio“.
Inevitabile per me, a questo punto, collegare questa canzone con un’altra canzone di De Gregori intitolata “Festival“, che narra la fine di Luigi Tenco, un cantautore che nel 1967 si uccise durante il Festival di Sanremo a cui stava partecipando.
Anche questa canzone gira attorno alla domanda: chi l’ha ucciso? E, anche qui, De Gregori si sofferma su tutto ciò che accadde in quei giorni: le ipotesi e accuse infondate (“forse aveva bevuto troppo“, “un problema di donne“, “aveva dei debiti“), l’ipocrisia di molti (“Lo portarono via in duecento. Peccato fosse solo, quando se ne andò.“), la speculazione sul tragico evento (“presero le sue mani e le usarono per un applauso più forte“), le responsabilità di ognuno (“l’uomo della televisione“, “l’inviato della pagina musicale“, coloro che “si ritrovarono dietro il palco“), la voglia di superare in fretta l’accaduto per poter proseguire con lo spettacolo (“Nessuna lacrima vada sprecata; in fin dei conti cosa c’è di più bello della vita?“, “tutti dicevano ‘Io sono stato suo padre!’, purché lo spettacolo non finisca“, “altri ne hanno fatto un monumento per dimenticare un po’ più in fretta“).
La risposta alle domande “chi ha ucciso Davey Moore?” e “chi ha ucciso Luigi Tenco?” potrebbe essere banale: il primo è morto per le botte ricevute dal suo avversario, mentre il secondo si è sparato. Invece, Dylan e De Gregori ci spingono ad allargare il nostro punto di vista ed approfondire le concause. Dopo poco, ci rendiamo conto che questi tragici eventi sono solamente la conseguenza manifesta di tutto ciò che è avvenuto prima e che, se ne analizziamo il contesto, ci viene il sospetto di avere qualche macchia sulla coscienza.
Facciamo parte di una società molto più grande di noi dalla quale, talvolta, probabilmente per pigrizia, ci lasciamo spingere a partecipare ad eventi, movimenti o gruppi apparentemente giustificati ma che potrebbero nascondere conseguenze pericolose.
Come ha illustrato molto bene Hannah Arendt nel libro “La banalità del male“, la colpa più grande dei gerarchi nazisti è forse quella di aver eseguito gli ordini senza pensare, senza chiedersi se fosse giusto o meno. Tuttavia, senza arrivare ad eventi tragici come omicidi o genocidi, anche noi, nel quotidiano, spesso facciamo le cose senza pensare; anche le più banali, come andare a fare la spesa scegliendo il prodotto più economico, ignorando il fatto che probabilmente un prezzo così basso è il risultato dello sfruttamento di qualcuno o qualcosa (ad esempio, l’ambiente). Sarebbe bene, quindi, fermarsi più spesso a riflettere su ciò che facciamo e su quanto sia giusto farlo.
Anche se ora ve ne fregate, voi quella notte voi c’eravate.
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.
(“Canzone del maggio“, Fabrizio De Andrè)
Per completezza, riporto di seguito il testo delle due canzoni (di quella di Dylan riporto solo la traduzione in italiano, essendo comunque molto facile reperire il testo originale).
WHO KILLED DAVEY MOORE?Bob DylanChi ha ucciso Davey Moore? “Non io” dice l’arbitro Chi ha ucciso Davey Moore? “Non noi” dice la folla arrabbiata Chi ha ucciso Davey Moore? “Non io” dice il suo manager Chi ha ucciso Davey Moore? “Non io” dice lo scommettitore Chi ha ucciso Davey Moore? “Non io” dice il giornalista sportivo Chi ha ucciso Davey Moore? “Non io” dice l’uomo i cui pugni Chi ha ucciso Davey Moore? (traduzione presa da http://www.maggiesfarm.it/ttt292.htm) |
FESTIVALFrancesco De GregoriNella la città dei fiori disse chi lo vide passare E l’uomo della televisione disse: E lontano lontano si può dire di tutto, E così fu la fine del gioco, |