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Le parole (non) ci rappresentano

Stamattina ho letto questo interessantissimo articolo che spiega come mai – indipendentemente dal tipo di lavoro – non bisognerebbe assumere persone che fanno errori grammaticali: “I Won’t Hire People Who Use Poor Grammar. Here’s Why.”.

Al di là delle efficaci argomentazioni dell’articolo, una frase ha particolarmente colpito la mia attenzione, in quanto si ricollega ad un’altra frase che mi annotai mentre leggevo – qualche giorno fa – “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello.

La frase dell’articolo che mi ha colpito è questa:

“Good grammar is credibility, especially on the internet. In blog posts, on Facebook statuses, in e-mails, and on company websites, your words are all you have. They are a projection of you in your physical absence. And, for better or worse, people judge you if you can’t tell the difference between their, there, and they’re.”

(Traduzione:
Una buona grammatica è credibilità, specialmente su Internet. Negli articoli dei blog, negli stati di Facebook, nelle email e sui siti aziendali, le vostre parole sono tutto ciò che avete. Sono una proiezione di voi nella vostra assenza fisica. E, nel bene o nel male, le persone vi giudicano se non sapete la differenza tra “their” (loro), “there” (là) e “they’re” (hanno).)

La frase che mi ero segnato del dramma di Pirandello è invece questa:

“Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”

Le parole sono tutto ciò che ci consente di esprimere ciò che abbiamo dentro. Sapersi esprimere efficacemente, è fondamentale per far in modo che gli altri ci capiscano e comprendano esattamente ciò che pensiamo.

Forse, l’essermi improvvisato docente in passato ha amplificato la mia capacità di empatia; non so… fatto sta che spesso ripeto mentalmente ciò che ho appena detto cercando di mettermi nei panni di chi l’ha ascoltato, per valutare se risulta facilmente comprensibile dal mio interlocutore o se necessita di una precisazione.

Talvolta, le parole mi sembrano insufficienti. Spesso, mi fermo per qualche minuto a cercare un sinonimo o un’alternativa per esprimere meglio ciò che intendevo dire.
Ho sempre paura che gli altri non riescano a cogliere tutte le sfumature del mio pensiero.
Non capisco se questo atteggiamento sia da evitare, in quanto rischia di farmi apparire pedante ed esageratamente pignolo, oppure se sia una qualità positiva da preservare.

Ad ogni modo, ho capito che, per quanto ci si sforzi, è impossibile far percepire agli altri le nostre sensazioni e i nostri pensieri esattamente nel modo in cui li viviamo. Potremo andarci molto vicino, ma non ci riusciremo mai a farlo pienamente.

“io posso essere inteso da tutti […], ma al tempo stesso posso essere ascoltato (accolto profeticamente) solo da chi ha esattamente e adesso il mio stesso linguaggio” (Roland Barthes)